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Spesso mi immagino sola, senza nessun uomo al mio fianco…

Buongiorno. Oggi vi scrivo perché sento il bisogno di condividere alcune mie riflessioni con qualcuno che non le giudichi troppo strane,  incomprensibili o troppo radicali. Si tratta di alcuni pensieri che ho sviluppato in questi ultimi mesi, e che, a causa di diverse circostanze non proprio piacevoli, hanno preso sempre più forma nella mia testa, fino a diventare delle vere e proprie convinzioni. Il punto è, in breve, questo: credo di essere arrivata a disprezzare (per non usare il termine odiare) profondamente il genere maschile. Cercherò di spiegarmi meglio.
Non mi reputo femminista, non seguo particolari pagine su Instagram o Facebook o associazioni a favore dei diritti delle donne, ma comunque ne condivido  molti pensieri. Sono cresciuta, prima di 3 figlie, in una famiglia di un piccolo paese di montagna, dove, come potrete immaginare, la mentalità, soprattutto quella degli adulti, è tutt’altro che aperta, specialmente quando si parla di diritti delle donne.

Mio papà, fervente cattolico, l’ho sempre ammirato, perché quando mi raccontava le sue esperienze, ero orgogliosa di lui, vedevo in lui una mente più aperta di altri uomini che conoscevo, e per questo volevo a tutti costi prenderlo come un esempio da seguire. E in effetti così ho fatto durante la mia adolescenza: ho fatto molte esperienze di volontariato, soprattutto in oratorio, mi sono dedicata agli altri senza mai chiedere nulla in cambio, ho sempre ubbidito alle sue richieste (così come a quelle di mia madre), sia a casa che a scuola. Insomma, sono diventata a tutti gli effetti una brava ragazza: diligente e attenta a scuola, disponibile in casa, puntuale in chiesa e in oratorio ecc, sempre disposta a dare una mano a chiunque ne avesse bisogno, sempre solare e allegra, sempre attenta ai bisogni e ai problemi delle persone. E di questo ero felice, perché vedevo nei miei genitori, e soprattutto negli occhi di mio papà, quanto fosse felice di avere una figlia così. Tuttavia qualcosa è cambiato verso i miei 18 anni. Crescendo, soprattutto a scuola, mi sono creata dei nuovi gruppi di amici, ai quali piaceva certo andare in oratorio, fare volontariato ecc, ma che non disdegnavano nemmeno andare a ballare, fumare di nascosto qualche sigaretta, uscire la sera e passare ore al parchetto, bigiare la scuola ecc. Insomma, cose a, parer mio, possono essere ritenute “normali” per dei ragazzi/e di quella età. E così ovviamente ho cominciato a desiderare di fare le stesse cose dei miei amici, a vestirmi in modo più provocante e non più da bambina (per quanto possa essere provocante una semplice t-shirt leggermente più scollata e priva di stampe colorate).
Con mio papà si sono fin da subito accesi molti scontri: ma se inizialmente mi sembrava comunque normale, visto che anche i genitori delle mie amiche facevano loro spesso delle ramanzine, con il passare del tempo ho capito che c’era qualcosa di diverso in mio papà: infatti, se gli altri genitori poi alla fine cedevano, ricordandosi che anche loro alla nostra età avevano comunque avuto le loro esperienze, mio papà rimaneva fisso sulle sue decisioni. Questo perché, soprattutto essendo profondamente cattolico (o come penso io quasi fanatico, e legato a tutti gli insegnamenti che i nostri nonni e bisnonni inculcavano ai loro figli e nipoti) secondo lui avrei fatto esperienze solo negative, avrei rischiato di uscire dalla “buona strada” e di “cadere nelle tentazioni”. Inoltre, mi ha sempre inculcato l’idea di un Dio giudicante, un Dio che non te ne lascia scampare una, e che ti punisce in qualche modo prima o poi per i tuoi errori. Concezioni proprio medioevali, ma che però ho interiorizzato fino ad oggi.  Così, il più delle volte, rinunciavo a ciò che mi sarebbe piaciuto fare, inventando mille scuse assurde ai miei amici, e ritornando ad essere la figlia perfetta, buona, ubbidiente e diligente. Questo meccanismo, però, ha fatto scattare in me un profondo senso di colpa, che tuttora sento dentro, per tutte quelle volte che ho disubbidito a mio papà, e ho scelto di fare di testa mia: la prima sigaretta, la prima volta che mi sono ubriacata, la prima volta che sono uscita con un ragazzo molto più grande di me e famoso per i suoi giri non proprio puliti…. Anche se magari lui non veniva a sapere di queste cose, mi faceva sentire uno schifo perché magari, durante uno dei suoi tanti “sermoni” che spesso fa sul fatto che i giovani si stiano rovinando la vita a causa delle discoteche, della vita notturna ecc, io mi sentivo tirata in causa, giudicata e pensavo “se solo sapesse quello che ho fatto sarebbe molto deluso da me”, oppure “sicuramente Dio ora mi punirà perché ieri sera mi sono lasciata andare un po’ troppo con l’alcol” ecc. Se prima mio papà era stato il mio “idolo”, in quel periodo ho iniziato a rendermi conto dei suoi difetti, del fatto che fosse molto orgoglioso e permaloso, del fatto che spesso non riuscivo a spiegare le mie posizioni perché lui concludeva subito la discussione, puntandomi sempre il dito contro e facendomi sentire sempre e comunque sbagliata. Ad oggi, purtroppo, le cose non sono cambiate. Anzi, crescendo ho raggiunto sempre più consapevolezza di quanto io abbia sempre cercato di essere la figlia perfetta, mai sbagliata, e di quanto io abbia sempre limitato la mia vera me per conformarmi a quello che mio papà in primis, ma anche tutta la società volevano: una ragazza ubbidiente, gentile, semplice, silenziosa, non provocante, non troppo sensuale, non troppo intelligente. Tutto questo poi si è rispecchiato nelle mie relazioni: soprattutto il mio ex, ma anche il mio attuale ragazzo, mi hanno illusa inizialmente di avere la possibilità di scegliere chi essere, come comportarmi, cosa indossare ecc, ma poi si sono rivelati bugiardi ed esattamente come mio padre: pronti a puntarmi il dito contro, a decidere per me qualsiasi cosa, a fare del mio corpo quello che volevano, a farmi sentire insicura e debole. E queste cose hanno poi raggiunto il limite con il mio ex, il quale, dopo che io gli avevo comunicato di volerlo lasciare, ha inscenato un suicidio con il solo scopo di farmi soffrire.
Anche con il mio attuale ragazzo le cose non sono poi così diverse: nonostante sia molto buono , attento a me, dolce e romantico il più delle volte, spesso mi fa sentire indifesa, soprattutto quando si tratta di sesso. Perché sono destinata ad una vita così, una vita durante la quale saranno sempre gli uomini a decidere per conto mio?
Non sopporto camminare in giro per strada ed essere fischiata o fermata da uomini sconosciuti, che probabilmente hanno una vita sessuale molto frustrante e deludente (sempre che ne abbiano una)! Sono stanca di quegli sguardi maliziosi. Sono stanca di dover fingere di provare piacere quando faccio l’amore con il mio ragazzo invece di dirgli che non mi sta piacendo per niente. 
Spesso mi trovo a pensare al mio futuro, e sempre più di frequente mi immagino sola, senza nessun uomo al mio fianco. Perché so per certo che il primo periodo di relazione è il più bello, ma sono anche convinta che l’uomo sia come un incantatore: ti riempie di regali, di belle esperienze, fino a quando, una volta sicuro di averti, fa di te quello che vuole, ti giudica in modo subdolo, facendoti comunque sentire in difetto. Sono sicura che riuscirei a cavarmela benissimo anche da sola! Per questo sono arrivata alla conclusione di non volere nemmeno figli, nonostante io abbia sempre avuto il desiderio di crearmi una famiglia, perché credo che comunque soffrirei solo io: sarebbe solo il mio corpo a cambiare, non quello dell’uomo. Sarebbero solo i miei ormoni a risentirne. Sarei solo io ad occuparmi dei miei figli principalmente, a dover rinunciare a molte cose, addirittura al lavoro. Sarei io a dover fare l’amore con il mio ipotetico marito solo per compiacerlo e tenerlo vicino a me (perché sono convinta che poi il sesso diventi una sorta di ricatto in certe coppie: se me la “dai”, rimango con te nonostante il tuo corpo sia cambiato). E poi credo che se proprio dovessi avere figli,  vorrei a tutti i costi che fossero maschi, per non dover spiegare loro tutte le sofferenze e i problemi ai quali andrebbero incontro se fossero femmine. So che probabilmente sto esagerando, ma è quello che penso. 

Anonima


Cara Anonima,
grazie per averci scritto e per aver condiviso con noi i tuoi pensieri così profondi, lucidi e carichi di tanti elementi che siamo certi possano rispecchiare il sentire di molte ragazze che in qualche modo vivano in modo bloccante e ingiusto alcune sovrastrutture della nostra società.  Hai ragione, non si tratta di femminismo, ci sono dei comportamenti e un modo di pensare così radicato che ormai fa parte dell’immaginario collettivo e che sembra impossibile modificare.
La verità è che le grandi rivoluzioni hanno bisogno di tempo, perchè il lavoro è lento e profondo, e prima di vedere le prime trasformazioni c’è da aspettare tanto. Il fatto che ne stiamo parlando ci sembra già un grande passo avanti, c’è un recente movimento che sta mettendo in discussione le discriminazione di genere e, soprattutto, che si sta occupando di formare i bambini fin da piccoli ad avere un pensiero più aperto, autentico e spontaneo, cercando di renderli liberi da pregiudizi e stereotipi. A volte, ma non solo per quanto riguarda il genere, costruire delle griglie mentali che possano ridurre la complessità aiuta le persone a semplificare e a sentirsi più contenute, ma toglie tanto alla bellezza e all’unicità del guardare un processo o qualcuno nella sua globalità. Per quanto riguardo nello specifico la tua vita, è normale che le relazioni primarie vadano ad influenzare il nostro modo di relazionarci con gli altri, per cui è facile che tu tenda a riprodurre gli schemi che avevi con tuo padre nel confrontarti con genere maschile, ma ciò non significa che non si possano modificare degli aspetti.
Ci sembra molto importante che tu sia consapevole di molte dinamiche che ti trovi a vivere, averle presenti ti può aiutare a gestirle meglio, fermandoti quando ti rendi conto che in qualche modo stai facendo qualcosa che non ti corrisponde. Inoltre, non credere ma sta cambiando in modo significativo il ruolo maschile non solo nella coppia ma soprattutto nella paternità. Si è fatta strada una componente più affettiva e accudente, per cui sempre di più i papà si fanno carico dei figli nelle cose pratiche e che curano in modo più attento la relazione, non delegando alla madre, così come nella coppia.
Prova a seguire ciò che senti, questo non vuol dire in toto rinunciare a un compagno e/o a una famiglia, siamo certi che è sempre possibile giungere a un compromesso, declinare significherebbe un pò far vincere ciò che non accetti. Facci sapere cosa ne pensi.
Un caro saluto!